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Cass. SS.UU., 13/09/2016, n. 17989: le Sez. Un. sul foro di esecuzione delle obbligazioni pecuniarie e sulla mora

Con questa pronuncia le SS.UU. hanno sposato l’interpretazione tradizionale per cui solo un accordo scritto tra le parti ovvero un provvedimento giudiziale sono titoli idonei a rendere liquida l’obbligazione avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, con la conseguenza che, solo in questi casi l’obbligazione andrà adempiuta al domicilio del creditore (art. 1182, co. 3 cc), luogo nel quale incardinare l’eventuale azione di recupero crediti e il mancato pagamento alla scadenza produrrà in modo automatico il maturare di interessi moratori (art. 1219, co. 2, n.3 cc). La ratio enunciata è di tutela del debitore. La statuizione, a prima lettura, rischia di avere un impatto dirompente sul fronte delle modalità di tutela del credito, tutte le volte in cui la transazione commerciale – fornitura di beni o prestazione di servizi – non sia documentata da un accordo scritto. Una situazione frequente poiché la forma dei contratti è nel nostro ordinamento tendenzialmente libera, sicché spesso l’impresa che riceve un ordine, consegna la merce ed emette fattura per un importo solo ‘implicitamente’ concordato. Ebbene in queste ipotesi, secondo il principio enunciato, il credito conseguente produrrebbe interessi solo dopo la messa in mora e in ipotesi di inerzia del debitore, l’impresa fornitrice dovrebbe chiedere la tutela del proprio credito al Giudice del luogo di domicilio/residenza del convenuto debitore ai sensi del co. 4 dell’art. 1182 cc, con probabile aggravio di costi, soprattutto in ipotesi di opposizioni strumentali. Molte dunque le perplessità suscitate dalla pronuncia; peraltro nel caso che ha originato l’intervento delle S.U. le parti avevano effettivamente omesso di determinare l’importo del corrispettivo, sicché il temuto effetto nocivo di questa pronuncia potrebbe essere molto ridimensionato. La parola passa a questo punto alle corti di merito.

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